domenica 13 dicembre 2015

Lettera di una professoressa

Abbiamo ricevuto la lettera di una professoressa che lavora in una scuola pubblica e noi la riportiamo più che volentieri!!!

Leggendo queste righe non avete la possibilità di sentire il mio accento e quindi non potete indovinare la mia provenienza. Invece quando entro in classe, in ogni nuova classe, alla domanda “da dove pensate provenga?” quiz che pongo agli alunni per rompere il ghiaccio, si alza un coro di voci bianche che tuona allegro: Sicilia! Da quel momento mi presento ai miei numerosi discenti raccontando loro della mia terra calda, ricca di affascinanti tradizioni e miti antichi (così colgo, in maniera subdola, pure l’occasione per capire quanto ne sanno di geografia, storia e letteratura).  Tra le varie domande, qualche alunno mi ha anche chiesto se fossi una immigrata … e, nel rispondere, ho dovuto pensarci su, perché in effetti lo sono. Mi trovo in una terra non mia e sono qui per lavorare. Unica differenza è che non scappo dalla fame, da carestie e dalla miseria conseguenze di guerre. Come potrei scappare da un posto che profuma di zagara e ginestra, da un paese baciato dal mare e fiorito sulle nere pendici dell’Etna? Non sono in fuga, mi sono momentaneamente allontanata da casa. Perché? Perché voglio lavorare e voglio lavorare a scuola. Purtroppo la scuola non va, la scuola non era “buona” prima e continua a non esserlo per via di graduatorie sature da anni, soprattutto al Sud,  a causa di un sistema obsoleto che neanche questa tanto attesa riforma  è riuscita a svecchiare. Questa scuola “non buona” costringe una madre a lasciare gli affetti lontani: figlia piccola, marito, genitori, amici, una casa di proprietà con cane, gatto, giardino (e mutuo), per vivere mesi in affitto in monolocali dai costi ingenti e in luoghi in cui non si conosce nessuno, dove ci si appiglia pure all’ortolano  pur di attaccare bottone con qualcuno e, alla sera, dopo un giorno trascorso in solitudine, anche Bruno Vespa alla tv sembra un volto così familiare che vien voglia di abbracciare lo schermo! Non voglio fare la vittima perché, in fin dei conti, ho preso una decisione e ho scelto io la provincia in cui lavorare ma concedetemi almeno di lamentarmi per il fatto che non c’è alternativa, almeno per il momento: troppi sbarramenti per l’accesso ai concorsi, corsi abilitanti ostici e onerosi e tante, troppe leggi create da chi poco sa della realtà scolastica. Come insegnante sono disposta a fare sacrifici, perché vengo ripagata quotidianamente in classe dal profitto di alcuni alunni e dalle battute di altri, soprattutto di quelli più deboli, più discoli e scostanti nello studio che, sebbene siano addirittura a rischio bocciatura, dicono di voler fare, da grandi, l’insegnante come me. A quel punto mi sento appagata, so di aver seminato qualcosa, con la consapevolezza che su centinaia, forse un solo seme metterà radici in loro, e questo è già un miracolo. Solo così riesco a vedere il bicchiere mezzo pieno. Eppure talvolta capita che a casa, accesa la televisione, mi imbatto in un servizio del tg su Renzi e la Giannini riguardante la Buona Scuola e quel bicchiere non lo vedo nemmeno mezzo vuoto … non lo vedo proprio più.

Come per magia.


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